Camicie di forza, catene, lobotomie. Non più tardi di cinquant’anni fa questi erano i metodi terapeutici ai quali venivano sottoposti i malati psichiatrici. Curarli era considerato impossibile; pensare che la società potesse accettarli, altrettanto. L’unica soluzione era l’internamento, perché non nuocessero e non dessero “pubblico scandalo”. La rivoluzione comincia da un giovane psichiatra veneziano, Franco Basaglia: appena nominato direttore del manicomio di Gorizia, nel novembre del 1961, decide di non firmare la lista dei “matti” da legare ogni giorno. E apre laboratori di falegnameria e altre professioni.
Franco Perazza, ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Gorizia, e altri testimoni dell’epoca (psichiatri, infermieri e utenti, che ora lavorano, tra l’altro, in un progetto per il recupero dell’archivio storico dell’ex manicomio) raccontano come Basaglia abbia realizzato in meno di dieci anni la trasformazione dell’ex ospedale psichiatrico in comunità terapeutica, attirando studiosi da tutto il mondo.
Oggi a Gorizia, non ci sono strutture psichiatriche chiuse dove “mettere” i pazienti, ma un Centro di Salute Mentale ben organizzato, aperto 24 ore su 24, e operatori sempre pronti ad assistere le persone a casa, se vanno in crisi. E si scopre che il costo di questa assistenza è, per le casse pubbliche, anche minore, in proporzione, di quello pagato nel Lazio per le residenze psichiatriche private.
Grazie alla cooperativa “La Collina”, per gli estratti dell’audio-documentario “B come Basaglia”; con la voce dell’infermiere Enzo Quai; all’Archivio Audiovisivo del Movimento operaio e democratico, per l’intervista di Franco Basaglia dal documentario “La Pena immensa”, di Maurizio Rotundi. E grazie a Marco Visintin, psicologo del centro del Dipartimento di Salute Mentale di Gorizia, che ha letto la poesia “Il Principe”.