Ecco la trascrizione integrale del primo episodio di Pompei. La città viva, il nuovo podcast prodotto da Piano P per il Parco Archeologico di Pompei, in collaborazione con Electa.
Episodio 1. Il museo vivente
[MEDLEY VOCI]
PAPPI CORSICATO: Pompei è la città morta più viva che mai.
LUIGI FARRAUTO: È un regalo davvero prezioso nella disgrazia che lo ha fatto avvenire.
VALERIA PARRELLA: [Abbiamo visto insieme] nello stesso luogo la caducità umana e la forza dirompente della ginestra.
CATHARINE EDWARDS: So this is very much a part of the world that people want to come to within Pompeii itself.
MAURIZIO DE GIOVANNI: Pompei è un pilastro della nostra cultura e della nostra memoria.
MASSIMO OSANNA: Pompei è un mondo ed è anche il mio mondo.
ANDREA VILIANI: Pompei è probabilmente quello che si avvicina di più all’idea e al possibile funzionamento di una macchina del tempo.
ANTONIA FALCONE: Pompei continua a stupirci, e lo farà sempre.
Proprio così. Dopo avere affascinato per secoli scienziati, artisti e letterati con le sue domus, i santuari e gli affreschi, incredibilmente preservati da una coltre di cenere e lapilli, Pompei rivela sempre nuovi pezzi della sua storia. Uno degli ultimi eccezionali ritrovamenti risale al 21 novembre 2020. Durante gli scavi presso la villa suburbana di Civita Giuliana, a nord-ovest della città antica, sono stati ricostruiti i corpi di due uomini – forse un patrizio e il suo schiavo – con tanto di vestiti. Questo è stato possibile grazie alla tecnica dei calchi di gesso inaugurata 150 anni fa dal grande archeologo Giuseppe Fiorelli (una delle tante cose di cui vi parlerò nei sei episodi di questo podcast). Le nuove tecnologie hanno consentito inoltre di indagare e documentare gli oggetti che quei due uomini avevano con sé nell’attimo in cui sono stati investiti e uccisi dai vapori bollenti dell’eruzione del Vesuvio. Ancora una volta, insomma, quando sembra che abbia ormai rivelato tutto, la città inghiottita dal vulcano non smette di sorprendere. E noi proveremo a raccontarvelo.
[SIGLA INTRO] Questo è “Pompei. La città viva”. La fine, la scoperta, la rinascita. Il racconto di uno dei luoghi più affascinanti al mondo. Un podcast del Parco Archeologico di Pompei, prodotto da Piano P in collaborazione con Electa. Io sono Carlo Annese. Primo episodio: Il museo vivente.
[DE GIOVANNI] Pompei è unica perché è fissa nel tempo. È una fotografia in 3D di un tempo che è passato e non è passato più. È passato perché è evidentemente di un epoca così tanto risalente, due millenni fa. Ma è anche fortemente attuale, perché è umana. Cioè non siamo in presenza di un tempio o di statue o di dipinti, ma di tutto questo all’interno di una città viva, che è come se fosse stata momentaneamente lasciata ieri. Sembra più morta la città in tempo di lockdown di quanto sembri morta Pompei o Ercolano.
Questo è lo scrittore Maurizio De Giovanni, il creatore della serie sui Bastardi di Pizzofalcone – tra poco scoprirete quanto sia incredibilmente legato a Pompei. Non avrei potuto trovare parole migliori per rappresentare lo spirito di ciò che vorrei fare in questo podcast insieme ai miei autori: raccontare un luogo unico al mondo, per tanti motivi. Provo a elencarne subito alcuni, prima di affidarmi alle decine di voci di studiosi ed esperti che abbiamo coinvolto, e alle letture dei due speaker che ci accompagnerano.
Pronti? Ok. Cominciamo.
Pompei è una metafora della storia, un monito sulla caducità dell’uomo ma anche una celebrazione della vita.
Pompei e il luogo dove tutto è rimasto congelato nell’attimo della fine, e allo stesso tempo il museo più dinamico che esista al mondo.
Pompei è il più prezioso trattato sulla vita quotidiana degli antichi e insieme lo specchio della società contemporanea.
Pompei è il fiore all’occhiello del nostro turismo culturale, ma anche un ecosistema fragile, da tutelare e far crescere, in una terra complessa e ricca di contraddizioni.
Ecco, Pompei è tutto questo, e molto di più. Per farvela conoscere meglio, metteremo insieme antico e moderno, mito e cronaca, Virgilio e Robert Harris. Attraverseremo le sue strade immaginandola nel fermento dell’attività quotidiana, appena prima di quella catastrofe che secoli più tardi avrebbe rappresentato un punto di svolta per il pensiero illuminista. Ci interrogheremo sull’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo ma anche su come si vive oggi sotto il vulcano. Ripercorreremo quella magnifica storia nella storia che è l’epopea degli scavi nei quasi 300 anni che ci separano dalla sua scoperta. Entreremo nei luoghi proibiti di Pompei e racconteremo sensualità ed erotismo di donne e uomini che la abitavano. Viaggeremo lungo le rotte del Grand Tour e fra le infinite suggestioni che la città e la sua tragica fine hanno suscitato nell’arte, nella letteratura, nella musica e nel cinema. E soprattutto racconteremo la definitiva resurrezione del Parco Archeologico di Pompei, attraverso le parole dei suoi artefici. Partiamo proprio da qui.
Tutto ha inizio nel 2013, un anno da record per il British Museum, che diventa il secondo museo al mondo, con 6 milioni e 700 mila visitatori, dietro il Metropolitan di New York. Merito anche di una mostra di enorme successo: Life and Death in Pompeii and Herculaneum. Richiama 471.000 persone ed è tuttora al terzo posto nella classifica delle esposizioni più viste di sempre nel museo londinese, dopo i Tesori di Tutankhamon (con un milione e 700 mila visitatori, nel lontano 1972) e gli 855.000 accorsi per l’esercito di terracotta cinese.
E in Italia? Negli stessi giorni del 2013 una ricerca di Federculture fa sapere che il turismo, negli ultimi quindici anni, è cresciuto ovunque. Tranne che al Sud.
[DE GIOVANNI] Noi abbiamo molte bellezze nel territorio: penso alla Reggia di Caserta, penso alla Reggia di Portici; penso a Capri, Ischia, Procida; penso alla Costiera Amalfitana, penso alla Costiera Sorrentina, e non ho nominato la città. L’unica cosa realmente unica è Pompei ed Ercolano. Quindi è da conservare con assoluta cura, e anche da promuovere adeguatamente, perché questa cosa ce l’abbiamo solo noi.
Maurizio De Giovanni ha ragione, eppure per 15 anni neanche l’area di Pompei, riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, aveva fatto eccezione. Toccato il picco di visitatori nel 2006-2007, con oltre due milioni e mezzo di biglietti, era scesa drasticamente negli anni successivi. Ma proprio mentre il British Museum colleziona record grazie ai nostri tesori, anche a Pompei, finalmente, la situazione comincia a cambiare. Lo sottolinea per primo il ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini, qui con la voce di uno speaker.
[SPEAKER DARIO FRANCESCHINI] “Pompei è una storia di rinascita e riscatto, un modello per tutta Europa nella gestione dei fondi comunitari. Un luogo in cui si è tornati a fare ricerca e nuovi scavi archeologici, grazie al lavoro lungo e silenzioso delle tante professionalità dei Beni culturali che hanno contribuito ai risultati straordinari che sono sotto gli occhi di tutti. E che sono motivo di orgoglio per l’Italia”.
Nel 2013 c’è una prima, timida inversione di tendenza: un 5% in più di visitatori. Ma è l’inizio di un’impennata che solo le chiusure forzate del 2020 a causa della pandemia hanno rallentato. Il 2019, infatti, si è chiuso con più di 3 milioni e 800 mila visitatori, vale a dire il 76% in più dall’inizio del millennio.
Vi starete chiedendo che cosa è successo. Beh, è successo qualcosa di unico, che ha un nome e degli obiettivi ambiziosi: il Grande Progetto Pompei. Così lo racconta il direttore del Parco Archeologico Massimo Osanna, l’uomo-simbolo di questa rinascita.
[OSANNA] Il Grande Progetto Pompei è stata una sfida, una sfida fortunatamente vinta dall’Italia, perché è stata un grande lavoro di squadra. E senza persone che lavorano con passione e con professionalità non si va da nessuna parte.
Il Grande Progetto Pompei è stato finanziato con oltre cento milioni di euro dall’Unione Europea e dallo Stato Italiano. I suoi numeri sono impressionanti: 76 nuovi interventi, di cui 51 relativi a scavi e messa in sicurezza, 45 edifici restaurati e consolidati, 30 mila metri cubi di materiale di scavo, oltre a numerosi interventi per la fruizione e la comunicazione del Parco.
Negli ultimi anni sono state organizzate oltre venti grandi mostre, da quella del 2015 su Pompei e l’Europa 1748-1943, che ci ha lasciato un ricchissimo catalogo pubblicato da Electa,fino a Pompei e Santorini alle scuderie del Quirinale. E poi eventi, grandi concerti come quelli di David Gilmour ed Elton John, convegni, conferenze. Dopo 36 anni di chiusura, è stato restituito al pubblico il museo dell’Antiquarium, ora ulteriormente ristrutturato, e sono stati creati nuovi spazi espositivi per i reperti dell’area di Stabia nella Reggia di Quisisana, a Castellammare.
[OSANNA 2] Uno degli obiettivi che avevo era proprio quello di non solo dare attenzione a Pompei, come è stato fatto, ma anche di portare attenzione a siti cosiddetti periferici del parco archeologico che sono straordinari, da Oplontis a Castellammare di Stabia. E sono molto contento di essere riuscito, prima della fine del mio mandato, ad aprire il museo presso la Reggia del Quisisana: devo dire una sfida, questa, che sembrava quasi impossibile, se si pensa che da trent’anni si ragionava su un museo in quel luogo e non si era mai riusciti a farlo. Aver aperto un museo al Quisisana significa non solo valorizzare un contenitore straordinario, una reggia con un parco bellissimi, con una vista su tutto il territorio vesuviano incredibile, ma anche poter finalmente restituire alla comunità, restituire ai visitatori un materiale unico che era o visibile in mostre all’estero o era appunto in deposito, tra l’altro in condizioni neanche adeguate. Ma oltre a questo, uno degli obiettivi era quello di riaprire l’Antiquarium di Pompei finalmente come Antiquarium – un edificio dalla storia sfortunata creato già da Fiorelli negli Anni 60 dell’Ottocento, poi ristrutturato più volte, anche da Maiuri negli anni Trenta, poi bombardato nel ’43, riaperto da Maiuri nel ’48, poi chiuso con il terremoto e non più utilizzato – dove finalmente si potranno vedere dei materiali unici: non solo quelli dell’ultimo scavo, ma anche gli importanti materiali scoperti fra tardo Ottocento e Novecento che erano rimasti a Pompei, non erano andati al Museo di Napoli, ed erano nei nostri depositi, preclusi alla vista per generazioni.
Nel Paese dei cantieri eterni e dei ritardi burocratici, Pompei è diventata una preziosa eccezione, dopo essere finita sui media di tutto il mondo, tra il 2010 e il 2012, per alcuni vergognosi crolli, come quello della Scuola dei Gladiatori.
[MEDLEY TG]
La città antica, oggi, ha una faccia nuova e un corpo nuovo. E se la vostra ultima visita risale alla gita scolastica di vent’anni fa, è arrivato il momento di programmare un nuovo viaggio, appena sarà possibile, ovviamente.
La rinascita di Pompei, in un Paese che spesso viene accusato di non saper proteggere i propri tesori storici, artistici e archeologici, è un brillante esempio di intervento pubblico, professionalità e competenza. Frutto del lavoro di decine di persone, maestranze ed esperti: il solo elenco dei professionisti coinvolti è lunghissimo. Nulla a che vedere con il passato.
[TONIOLO] Ora invece sul campo c’è il geologo, che quindi man mano che prosegue lo scavo può capire e documentare le diverse fasi dell’eruzione; c’è l’archeobotanico che raccoglie i pollini, che raccoglie le evidenze di vegetazione; c’è l’archeozoologo che scava, anche l’antropologo fisico, che scava con le tecniche proprie dell’antropologia gli eventuali rinvenimenti di scheletri. E tutto questo, poi, sul campo, è poi accompagnato anche da nuove tecniche di documentazione dello scavo archeologico.
Luana Toniolo, giovanissima funzionaria archeologa del Parco di Pompei, è dietro alcuni dei più importanti ritrovamenti degli ultimi anni. Lavora da tempo, fianco a fianco, con il direttore Osanna. Ed è ancora lui a spiegare perché sono importanti questi nuovi metodi.
[OSANNA 3] Perché Pompei è un luogo complesso e ha bisogno di un lavoro di équipe, di varie professionalità. Poi si è riusciti a creare una segreteria tecnica, formata da ingegneri – che mancavano a Pompei, cosa assurda, laddove spesso erano i solai e le coperture in calcestruzzo armato a crollare e a creare problemi serissimi – quindi ingegneri che mancavano, accanto a loro altri architetti e archeologi, per fare in modo che tutti i cantieri avessero squadre operative di direzione sul campo. È stato veramente un lavoro in trincea, possiamo dire. Per anni si è lavorato quasi in apnea, perché il lavoro è stato enorme. Abbiamo avuto anche cinquanta cantieri contemporaneamente a Pompei, senza chiudere neanche un giorno il sito. E questo è stato veramente anche un altro straordinario risultato.
Alla base di questo approccio multidisciplinare c’è prima di tutto la capacità visionaria di Massimo Osanna. Dal 2014 Osanna è stato a capo prima della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, e poi, con il cambio di denominazione, del Parco Archeologico. A luglio del 2020, su incarico del ministro Franceschini, è diventato direttore generale dei Musei dello Stato italiano. È lui l’anima della rinascita di Pompei. E sono in tanti a riconoscerlo.
[VILIANI 1] Massimo Osanna, per me, è la figura ulteriore di intellettuale del Grand Tour.
Questo è Andrea Viliani, responsabile del Centro di ricerca del Castello di Rivoli, uno dei più importanti musei di arte contemporanea in Europa, nominato co-responsabile di Pompeii Commitment, un altro progetto visionario di cui vi parlerò in questa serie.
[VILIANI 2] Penso che sia il primo ad avere avuto un mal di Pompei, una serie di sensazioni che lo hanno perturbato e che lo hanno spinto, nell’ambito dell’assolvimento del suo compito di funzionario pubblico, ad aggiungere un nuovo tassello di questa grande storia. Anche una storia di funzionari, una storia di coloro che hanno, lavorando alle regole di questo grande gioco che è la manutenzione di Pompei, aggiunto capitoli straordinari.
L’avvento di Osanna, dunque, ha segnato per Pompei l’inizio di una nuova vita, l’ennesima. E ha coinciso con due fenomeni che sembrerebbero in contraddizione fra loro: da un lato una rinnovata attenzione per il Parco Archeologico e per ciò che può ancora rivelare, con investimenti, restauri, studi e nuovi scavi; dall’altro, l’apertura al mondo, come ricorda lo stesso Osanna.
[OSANNA] Pompei soffriva di una chiusura, un po’ a tutti i livelli, verso l’esterno, laddove invece vocazione di musei contemporanei dev’essere quella proprio della condivisione, della inclusione, dell’accessibilità, a tutti i livelli. Per cui si è deciso innanzitutto, grazie ai fondi del Grande Progetto di fare un piano della comunicazione che prevedesse anche l’apertura di tutti i social, oltre a un nuovo sito web adeguato alle esigenze di Pompei. Ma oltre a questo sono state molto importanti una serie di iniziative, credo molto riuscite, di divulgazione alta, a livello scientifico: le grandi mostre che abbiamo fatto a partire dal 2015, cominciate proprio con la mostra Pompei e l’Europa, fatta al Museo Nazionale di Napoli e a Pompei, che ha permesso di comunicare l’importanza che Pompei ha avuto a livello mondiale, proprio grazie alla sua straordinaria seconda vita, cioè dal 1748, ogni generazione e ogni società che si è confrontata con Pompei. Ed è una storia straordinaria, che conosciamo grazie agli interventi di protagonisti incredibili, da Goethe a Canova, da Picasso ai Pink Floyd.
Le mostre organizzate negli ultimi anni su Pompei sono state moltissime, frutto di un lavoro di ricerca solido e dal respiro internazionale.
[SPEAKER GRAND PALAIS] Pompei è un libro a cui non smetteremmo mai di aggiungere pagine. Ogni generazione riscopre la sua storia, e la reinterpreta utilizzando metodi e approcci costantemente nuovi e diversi. Pompei, ancora una volta, diventa una macchina del tempo, capace di attraversare i secoli.
Così si legge nell’introduzione alla mostra del 2020 al Grand Palais di Parigi che ha permesso letteralmente di immergersi dentro la città antica, grazie alla realtà aumentata e alle ricostruzioni digitali. Ed è stata anche la prima in cui si sono potute vedere alcune delle meravigliose scoperte più recenti.
C’era l’imbarazzo della scelta, in realtà. Negli ultimi anni, per esempio, due domus sono state ritrovate praticamente complete: la Casa di Leda e il cigno, di cui vi parlerò in un prossimo episodio, e la casa di Orione, con due splendidi mosaici. Nella Regio V è emerso un intero quartiere, e nel 2019 sono state anche riaperte le Terme centrali, rimaste chiuse per decenni. E poi manufatti, iscrizioni, oggetti, che forse ancora più degli edifici, ci restituiscono le dinamiche della vita antica.
Ecco, forse è questa l’intuizione più significativa: Osanna e i suoi collaboratori hanno capito che era arrivato il momento di scomodare le antiche pietre, i vasi, gli affreschi, per far conoscere meglio il luogo di cui fanno parte. Hanno capito che per portare il mondo a Pompei bisognava portare Pompei nel mondo.
[FALCONE] Pompei è una città che fin dal momento in cui è stata messa in luce ha rappresentato la sorpresa. Le nuove scoperte hanno esaltato ancora di più questa sensazione di sorpresa. Per un motivo molto semplice: perché sono arrivate a molte più persone rispetto a quello che poteva accadere prima. E questo anche grazie alle nuove forme di comunicazione.
Lei è Antonia Falcone, blogger di archeologia ed esperta di comunicazione culturale sul web. Come trasformare, dunque, la città congelata nell’attimo della sua estinzione in una città viva e vivente? L’idea è chiara: non bastano le nuove scoperte né basta la tutela, se non vengono accompagnate da ricerca e comunicazione. È necessario fare di Pompei un brand, com’è accaduto per il Moma di New York o il Guggenheim di Bilbao. Trasformare una visita in un’esperienza; un luogo in un’icona. Fare, in parole povere, di Pompei una meta dove andare prima degli altri, il luogo di cui tutti parlano.
Questa è la teoria. Ma in pratica? In pratica, la soluzione è: raccontare Pompei, non limitarsi soltanto a mostrarla; costruire – come si dice – una narrazione, con una passione che contagi chi ascolta. Il primo a riuscirci è stato proprio il direttore Osanna, che mi ha anche confidato di avere scoperto a Pompei un talento insospettato di storyteller, che gli ha permesso di superare una certa emotività caratteriale.
[FALCONE 2] Osanna è stato in grado di rendere il Parco Archeologico un patrimonio di tutti, un patrimonio condiviso. Quindi non è soltanto il sito archeologico che io vado a visitare, ma è diventato il sito archeologico che io posso vivere dall’interno, attraverso la narrazione di quello che succede, di quello che viene portato alla luce, di chi lavora all’interno del Parco. E quindi è riuscito a creare una narrazione popolare, nel senso più alto che si possa avere di questa parola, perché l’archeologia è fatta sia da chi lavora in ambito archeologico sia dalle storie delle persone che noi portiamo alla luce, quindi tutti i personaggi che hanno vissuto quella città.
In questo senso, i social hanno rivoluzionato la comunicazione della cultura, e dell’archeologia in particolare. Almeno per chi ne ha intuito in tempo il potenziale:
[FALCONE 3] I social e il web permettono di sentirsi parte di un racconto e soprattutto di entrare nella stanza dei bottoni. Basti pensare a come, sui canali social, il Parco racconta le scoperte. Oppure i video con le interviste a chi lavora all’interno del Parco. Oppure sull’account Instagram e sulla pagina Facebook vengono repostate le foto dei visitatori: questo è un modo per il visitatore di sentirsi parte di quella realtà.
L’elenco delle attività che si sono susseguite è impressionante. Com’è impressionante la sua varietà. Nel 2015 Pompei approda anche all’Expo di Milano. Lo fa dopo alcuni “grandi rifiuti”: i Bronzi di Riace, l’Ortolano di Arcimboldo e la Venere di Botticelli. Ma la scelta si rivela azzeccata, oltre che coerente con il tema dell’Esposizione Universale, dedicata a cibo e risorse. Vengono messi in mostra i pani dell’ultima infornata, trovati ancora intatti dalla tragica eruzione; i frutti carbonizzati; gli utensili e i menu di osterie e taverne che si possono considerare le progenitrici dello street food. Pompei diventa così materia palpabile, quotidiana, viva: tutto il mondo la può idealmente toccare, annusare, trovando numerosi punti di contatto con la vita di oggi.
E poi ci sono le collaborazioni con realtà prestigiose come il museo di Capodimonte e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ma anche con centri d’arte contemporanea, come il Madre, che nel 2017 ha ospitato una mostra con alcuni degli artisti più innovativi, da Clemente a Kounellis. Idee e sperimentazioni, che aggiungono un’altra parola chiave per capire il percorso della nuova Pompei: contaminazione.
[JODICE 1] Quando penso a Pompei e alla contaminazione io penso sempre che la differenza fra quello che Pompei ha protetto e restituito a noi nell’arco di questi duemila anni è differente da qualsiasi altra contaminazione derivante da altri siti archeologici importanti o più o meno altrettanto rilevanti e questo dipende dal fatto che Pompei esattamente come il sito minoico di Santorini ha congelato.
Questo è Francesco Jodice, un artista visuale che ha partecipato con un’emozionante videoinstallazione alla mostra del 2019 alle Scuderie del Quirinale su Pompei e Santorini, due luoghi accomunati dalla stessa fine catastrofica. A proposito di contaminazioni, peraltro, Francesco è il figlio di Mimmo Jodice, importante fotografo italiano, autore di una celebre serie di scatti in bianco e nero di Pompei, pubblicata da Contrasto nel 2010.
[JODICE 2] Generalmente le contaminazioni che arrivano a noi dalla storia e dall’archeologia, e dalle culture in genere, sono il frutto di una serie di superfetazioni che nel tempo aggiungono, contaminano. E quindi la contaminazione che giunge a noi, di solito, è già una ibridazione, è come se ci fosse una continua stratigrafia. Pompei non ha fatto questo: Pompei ha congelato. Da questo punto di vista, e lo lego quasi al mio mestiere, assomiglia molto a un’istantanea, cioè una fotografia che non contiene tempo e congela. È una fotografia con un tale nitore, una tale pulizia, una tale incisività, che in realtà, più che contaminare, ti costringe a una forma di affronto-confronto.
Questo costante dialogo tra antico e contemporaneo culmina nel nuovo progetto “Pompeii Commitment”, in collaborazione con il Castello di Rivoli.
[VILIANI 3] Più che di contaminazione, parlerei di manutenzione, nel senso che il rapporto con Pompei per l’arte contemporanea è un rapporto che si è definito nel tempo e che si è dimostrato pervasivo e direi permanente.
Questo è di nuovo Andrea Viliani.
[VILIANI 4] Ogni artista, ogni intellettuale ha riletto, reinterpretato, rimesso in scena una propria versione di Pompei: c’è chi è interessato anche a come la storia sia sempre anche storia con la “s” minuscola, quindi racconto, anche finzione. Pompei stessa, un po’ come Atlantide, è stata per millenni vettore di leggende, di ipotesi ricostruttive dell’accaduto storico.
Pompei, però, non è solo arte. È soprattutto territorio, società – sette Comuni dell’area vesuviana, con 700.000 abitanti, con i quali Napoli conserva ancora un rapporto ancestrale, come racconta ancora lo scrittore Maurizio De Giovanni.
[DE GIOVANNI 3] Pompei è un un pilastro della nostra cultura e della nostra memoria. Io da ragazzo andavo spesso a Pompei perché mia madre, quando era incinta, io sono il primogenito, mi consacrò alla Madonna di Pompei. Per cui da bambino ricordo queste meravigliose domeniche in cui mia madre mi portava da questa “madrina virtuale” che era la Madonna di Pompei, per rinnovare questo atto di devozione. Poi, da appassionato di lettere, e di letteratura latina in particolare, sono andato in pellegrinaggio culturale a Pompei più volte e mi sono confrontato con questa incredibile realtà, assolutamente unica nel panorama culturale del mondo.
Su questo «territorio sconfinato, pieno di problemi e di opportunità», come lo ha definito il ministro Franceschini, con il Grande Progetto Pompei è piovuta una quantità di denaro mai vista prima. Tanto che, all’apertura dei cantieri, nel sito archeologico è arrivata una visitatrice inattesa: la Direzione Investigativa Antimafia. Cercava prove di possibili infiltrazioni, in una zona in cui il controllo da parte della camorra non è mai venuto meno, e molte delle ricchezze trovate negli scavi sono state trafugate e rivendute spesso anche dalla criminalità organizzata.
Se la favola ha avuto un lieto fine, è anche grazie alla scelta di un leader d’eccezione: Giovanni Nistri, direttore generale del progetto fino al 2015 e oggi a capo dell’Arma dei Carabinieri.
[OSANNA] Spesso si lavorava, in passato, per anni, per portare a termine le procedure di gara. Grazie al nuovo staff diretto dal generale Nistri, le gare si sono di solito svolte con una media di due mesi, e poi non è stato perso neanche un giorno per procedere poi con l’aggiudicazione e con l’inizio dei lavori.
Questo è ancora Massimo Osanna.
[OSANNA] Una grande squadra, che ha saputo dialogare, ma soprattutto ha saputo lavorare in sinergia, perché si aveva uno stesso obiettivo: lo stesso obiettivo era quello di salvare Pompei, risolvere le situazioni di enormi criticità in cui versava, e quindi bisognava riavviare tutti i processi, anche in maniera trasparente, con un’attenzione alla legalità a all’anticorruzione.
Un’altra battaglia vinta, insomma. Per il generale Nistri coronata anche dalla cittadinanza onoraria di Pompei, ricevuta nel 2018.
[SPEAKER ROBERTO SAVIANO] Quello che ha reso prezioso questo luogo non è solo il miracolo di avere scovato delle meravigliose rovine, ma che queste rovine erano vita. Vita fermata in un attimo. Non solo monete fuori conio trovate in una campagna abbandonata, ma un teatro che un attimo prima era pieno, una villa che era ancora abitata… La potenza di Pompei e di Ercolano era questa, che è il contrario esattamente di quello che è semplice. La morte, la tragedia, il disastro, certo: ma quello che vince è soprattutto la vita.
Questo è un brano dell’intervento che Roberto Saviano ha tenuto in un TED, a giugno del 2015. Ora, si può anche scoprire di avere talento nel raccontare, ma un buon racconto non può prescindere dalla materia prima: e cioè la Storia, le storie. Pompei ne ha in quantità. E ognuna di queste storie contribuisce a scrivere capitoli nuovi, vivi – come dice Saviano – partendo anche da una traccia in apparenza insignificante: un vaso, una boccetta, una vasca. O una scritta a carboncino. Come quella trovata nel 2018 su un muro della Casa con Giardino, che ha permesso all’équipe di Osanna di attribuire una nuova data all’eruzione del Vesuvio: non il 24 agosto del 79, come si è creduto per secoli, ma il 24 ottobre. Una circostanza che sarebbe ulteriormente confermata dall’ultimo ritrovamento nella villa di Civita Giuliana con cui ho aperto l’episodio: uno dei due uomini in fuga aveva con sé un mantello di lana, o forse una coperta, in ogni caso non un indumento estivo.
Pompei, in quel periodo, si estendeva su un territorio più ampio degli attuali 66 ettari del Parco Archeologico, diviso secondo la tradizionale topografia romana in quartieri ortogonali, corrispondenti all’incirca a quelle che oggi conosciamo come Regiones. Stando agli ultimi studi, aveva circa 40 mila abitanti. Anche questo dato si deve a un’iscrizione, trovata quasi per caso: non in una campagna di scavo, ma durante i lavori di ristrutturazione degli uffici della direzione.
[TONIOLO] Mettendo in sicurezza le fondazioni dell’edificio ha iniziato a spuntare un lato di una tomba che, per le sue dimensioni, sembrava veramente un monumento importante.
Questa è di nuovo l’archeologa Luana Toniolo.
[TONIOLO 4] Decidemmo quindi di scavare, e con molte difficoltà, però ne è valsa veramente la pena, perché quello che abbiamo trovato è la più grande iscrizione di Pompei. È un’iscrizione su sette righe, lunga quattro metri, che ci dà delle informazioni importantissime, non solo per ricostruire la carriera di un personaggio veramente d’eccezione, ma anche per ricostruire la storia politica, economica di Pompei.
Si tratta di un elogio funebre di un uomo probabilmente morto poco tempo prima dell’eruzione: Cneo Alleio Nigidio Maio. L’iscrizione è una preziosa nota biografica che ci racconta di un uomo che godeva di grande considerazione a Roma, membro di una ricca famiglia e un uomo generoso verso il popolo, a cui dedicava giochi gladiatori e aiuti nelle carestie. Questa iscrizione ci regala, appunto, un’informazione fondamentale.
[TONIOLO] Quanti sono gli abitanti di Pompei è un tema molto discusso, e in genere si sono date delle interpretazioni basandosi sulle dimensioni delle case, eccetera. Ora, invece, lo sappiamo perché Alleio, che morì poco prima dell’eruzione, racconta che per festeggiare il suo passaggio alla toga virile offrì 456 triclini, e ogni triclinio poteva ospitare 15 persone. E questa era solo per i cittadini, quindi facendo un rapido calcolo: i cittadini maschi erano più di 6000-6800, circa il 27-30 per cento della popolazione. Quindi dobbiamo aggiungere le donne, i bambini, dobbiamo aggiungere gli schiavi. Quindi senza contare gli schiavi, arriviamo almeno a trentamila persone, e con gli schiavi probabilmente almeno a 40.000. Quindi finalmente un dato certo, anche sulla demografia di Pompei.
All’epoca, la città era sotto il controllo di Roma, anche se, in realtà, definirla “sotto controllo” è un eufemismo, viste le risse che scoppiavano fuori dall’anfiteatro, come racconta Catharine Edwards, accademico di Storia Antica al Birkbeck College di Londra.
[EDWARDS] Pompei era passata sotto il controllo romano alcuni secoli prima, e un evento chiave fu l’insediamento della colonia di veterani sotto il dittatore Silla, nell’89 avanti Cristo. Ma fu negli anni immediatamente precedenti all’eruzione del Vesuvio, nel 50 dopo Cristo, che ci furono i problemi maggiori, quando scoppiò una rivolta tra pompeiani e nocerini, durante alcuni Giochi gladiatori che si svolgevano a Pompei e che portarono alla chiusura dell’anfiteatro per dieci anni. L’avvenimento è riportato dallo storico Tacito e anche in una pittura su una casa, e probabilmente fu scatenato dall’imperatore Nerone, che aveva collocato una colonia di veterani a Nocera, vicino Pompei, e dalle dispute sulle terre assegnate ai pompeiani. Questo era lo scenario nel quale, nell’anno 62, Pompei fu colpita da un terribile terremoto, menzionato da Tacito nei suoi Annali.
«Come in un puzzle, ogni tessera sistemata permette di accostarne una nuova», scrive Massimo Osanna nel suo recente libro Il tempo ritrovato. Vale per i monumenti, vale per gli oggetti, ma vale in particolar modo per le iscrizioni.
[OSANNA] I graffiti sui muri, come un messaggio in una bottiglia, attraversano secoli di storia e arrivano fino a noi. E sono spesso messaggi così vicini a quelli che potremmo trovare nei nostri muri, perché raccontano dei valori e delle emozioni fondamentali dell’essere umano – l’amore, l’invidia, l’amicizia. Tutti aspetti che sono eterni, transeunti e che non si limitano solo ad una civiltà o un’altra.
Quelle scritte e quei graffiti, che contenevano messaggi pubblicitari, propaganda elettorale o frasi di spirito, hanno la capacità di restituirci il suono della lingua parlata: una lingua molto diversa da quella che abbiamo studiato sui libri di scuola.
[MARCOLONGO] Questo è uno degli aspetti che fin da subito – fin dal liceo e poi all’università – mi ha più affascinata di Pompei, proprio per le sue iscrizioni latine che raccontano di una lingua che, chiaramente ed evidentemente, non era la lingua né dei poemi di Virgilio né delle orazioni di Cicerone.
Questa è Andrea Marcolongo, scrittrice e giornalista, che ha riportato il greco e il latino nelle classifiche dei libri più venduti.
[MARCOLONGO] Siamo noi contemporanei che, per quel gioco ovviamente di specchi e di prospettiva, dato dalla strada letteratura da duemila anni di esegesi linguistiche, immaginiamo gli antichi capaci di pronunciare nient’altro che orazioni e di esprimersi in esametri. Probabilmente nemmeno Virgilio stesso si esprimeva nell’uso quotidiano come Enea, il protagonista del suo poema, e questo dimostra come il latino sia stata non soltanto una lingua destinata alla cultura ma proprio una lingua propria, un fattore di identità. Una lingua mai stata forse così viva proprio come negli anni di Pompei.
Ora, non so se avete fatto caso a quanto volte, in questo episodio, sia stato ripetuto l’aggettivo “viva” o “vivo”. Perché questa è la caratteristica che distingue Pompei: una città viva, un museo a cielo aperto in costante mutazione, un luogo unico al mondo. Brulicante di turisti, mostre, eventi. Di giorno e spesso anche di notte. Adesso possiamo solo immaginarlo, ma riesce altrettanto facile immaginare queste pietre solcate dai passi degli antichi pompeiani, queste strade piene di vita – una vita così simile alla nostra, nella sua normalità.
È quello che faremo nel prossimo episodio. Seguitemi.
[FINE]