La trascrizione completa del quinto episodio del podcast Pompei. La città viva. The complete Italian transcription of Pompei. La città viva’s fifth episode.
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È venuta fuori quasi per caso. Scavare lì non era previsto, ma il materiale vulcanico è friabile e incoerente, fa quel che gli pare. Un leggero smottamento di lapilli provocato dalla pioggia ed ecco che si intuisce, in un sensuale gioco di vedo-non vedo, la curva di un ginocchio. Un dettaglio, una bellezza imprevista, da mozzare il fiato. È la figura di Leda, quella che si svela a poco a poco. Nuda, siede sulla sponda di un letto coperto da un drappo azzurro. Un cigno preme sul suo ventre e si protende, quasi a chiederle un bacio. Le gambe della regina si serrano, ma il viso esprime tutt’altro che ritrosia o pudore.
[SIGLA] Questo è Pompei. La città viva.
La fine, la scoperta, la rinascita. Il racconto di uno dei luoghi più affascinanti al mondo. Un podcast del Parco Archeologico di Pompei, prodotto da Piano P in collaborazione con Electa. Io sono Carlo Annese.
Quinto episodio: La città dell’amore
In Via del Vesuvio, nell’insula 6 della Regio V, gli scavi si erano fermati all’inizio del Novecento. I recenti lavori di messa in sicurezza dei fronti, però, hanno riservato molte sorprese. Leda è una di queste. Il piccolo, splendido affresco che la ritrae è emerso sulla parete di una camera da letto, in una ricca domus per lo più ancora interrata, ma che fa presagire la sua grande bellezza. Leda viene sedotta da Zeus che, per poterla avvicinare, ha assunto l’aspetto di un cigno. Le immagini a tema erotico sono frequenti nei cubicula – nelle stanze da letto, appunto – delle domus pompeiane. E non solo lì. Anzi, si trovano un po’ dappertutto.
[Trailer film] “Quando si parla di Pompei il confine tra verità e leggenda è sfuocato. La sua è una storia di sesso, potere, trasgressione e tragedia”.
Avrete riconosciuto la voce di Isabella Rossellini, narratrice d’eccezione del documentario Pompei – Eros e mito, diretto dal regista napoletano Pappi Corsicato.
[Trailer film] “Una civiltà mossa dal genio, avvolta da dissolutezza, trasgressione, erotismo e peccato”.
Il docu-film, uscito a novembre del 2020, reinterpreta in chiave moderna miti e personaggi che hanno contribuito a rendere immortale il sito archeologico: dall’amore di Bacco e Arianna nella celebre Villa dei Misteri all’ambigua storia di Leda e il Cigno, appunto, riemersa da poco dalle ceneri.
[PAPPI CORSICATO] A me attrae proprio tutto di Pompei. Mi piace l’idea del mito, l’idea della sessualità sfrenata. Ma penso che questo, secondo me, è un elemento che alla fine credo che intrighi tutti.
Questo è, appunto, Pappi Corsicato, che nel 1997 partecipò al manifesto del nuovo cinema napoletano con un film che non a caso si intitolava I Vesuviani.
[PAPPI CORSICATO] Il fatto di pensare che ci fosse una società in cui delle cose erano permesse, in cui c’era un edonismo molto forte, c’era la bellezza, c’era la Natura – era tutto più naturale, probabilmente. Quindi questa cosa, a me attrae molto, però immagino che sia un elemento che piaccia in assoluto a tutti. È il motivo per cui poi uno rimane stupefatto, come dire, sorpreso e curioso di volerne sapere di più di questi posti.
In effetti, come sottolinea Corsicato, la vita erotica di Pompei è uno degli argomenti che attirano di più il pubblico, da sempre. Ma era davvero così sfrenata? A cosa si deve la fama di città dedita al vizio e al piacere?
[CATHARINE EDWARDS] È assolutamente corretto dire che molti affreschi mostrano nudità, persone che si divertono provando piacere. Ci sono rappresentazioni mitologiche della nudità – ad esempio il famoso affresco della Nascita di Venere, in cui la dea è raffigurata su una conchiglia – e molte di queste immagini hanno una sorta di riferimento erotico. E poi ci sono immagini che, in maniera più diretta, mostrano persone comuni, uomini e donne, che fanno sesso.
Questa è Catharine Edwards, accademico di Storia Antica al Birkbeck College. Dunque, a giudicare dalle pitture, la gente a Pompei si divertiva parecchio: dalla piovosa Londra, la professoressa Edwards ci dà un primo indizio, ed è di natura geografica.
[CATHARINE EDWARDS] Il golfo di Napoli era considerato dai Romani un luogo meraviglioso dove rilassarsi. Soprattutto dai membri dell’élite dell’epoca, molti dei quali possedevano ville lussuosissime lungo la costa. Cicerone descrive la parte settentrionale del golfo come un posto nel quale notoriamente si tenevano feste molto frequentate, in cui si faceva baldoria, e ogni tipo di divertimento sessuale era concesso. C’erano ville altrettanto lussuose molto più vicino a Pompei, come quella di Oplonti, che sembra sia appartenuta a Poppea Sabina, la seconda moglie dell’imperatore Nerone: era decorata con affreschi bellissimi e circondata da un giardino rigoglioso. Insomma, erano mete molto richieste dalla gente che contava. E all’interno della stessa città c’erano bettole, osterie, un anfiteatro, molti luoghi di divertimento: innumerevoli evidenze di quanto anche gli abitanti di Pompei si dedicassero ai piaceri della vita.
Le pitture erotiche, che abbiano come protagonisti miti e divinità o persone comuni, esprimono l’aspirazione a una vita fatta di amore e piacere, in una cultura nella quale la fisicità era libera da giudizi morali. Le regole e le convenzioni relative alla sfera sessuale erano legate solo a considerazioni di natura sociale e prescindevano dall’atto in sé. Per gli antichi romani il sesso era un fenomeno positivo, da cui derivano vita e gioia. Ed era anche un elemento magico e propiziatorio, una forza della natura capace di allontanare gli spiriti del Male e di proteggere le case e i luoghi di lavoro.
[CATHARINE EDWARDS] Se facciamo un giro per le strade di Pompei, quello che potrebbe colpirci di più è la straordinaria profusione di immagini falliche. Se ne trovano dappertutto. Per esempio nell’affresco all’ingresso della Casa dei Vettii, che rappresenta Priapo mentre soppesa il suo enorme fallo su una bilancia con un sacchetto di monete nell’altro piatto. Un affresco simile è stato trovato di recente nella stessa casa in cui è apparso l’affresco di Leda e il Cigno, sulla Via del Vesuvio. Ma molte immagini falliche sono scolpite anche nelle pietre per strada: qualcuno pensa che servisse a indicare la direzione per i bordelli, ma significherebbe in qualche modo trascurare la natura onnipresente di questo immaginario. Basti dire che sono stati trovati dei campanelli con quella forma: venivano appesi al soffitto dei negozi e servivano a intrattenere a clienti. Insomma, il “Regno del fallo”, come a volte è stato definito, era estremamente visibile a Pompei.
Priapo è il dio della fecondità e della potenza sessuale, ma anche della prosperità economica e dell’abbondanza. Vestito all’orientale, con indumenti femminili che lasciano scoperti la spalla sinistra, le gambe, e, soprattutto, l’enorme fallo eretto, Priapo viene spesso collocato all’ingresso delle domus, perché porta bene e dà il benvenuto in una casa che si auspica ricca e felice. Era naturale, all’epoca, e nessuno ci trovava niente di osceno. Quando però Pompei torna alla luce nel 1748, dopo secoli di cattolicesimo, costumi e opinioni sul sesso sono decisamente cambiati.
[PAPPI CORSICATO] Ma perché, appunto, erano eccessivamente espliciti. Era come guardare oggi un film porno, rappresentato in quadri, in affreschi. Quindi per quel tipo di società, capisco che poteva essere disturbante, diciamo.
Insomma, quello che una volta era naturale diventa dissoluto, al punto che i Borbone fanno confinare tutti i reperti a sfondo erotico in un Gabinetto Segreto il cui accesso è consentito solo a “persone mature e di conosciuta morale”. Soggetta a censura più o meno rigida, la collezione torna accessibile solo con Garibaldi, per poi essere di nuovo oscurata durante il Fascismo e diventare ora visitabile da tutti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Ma c’è un altro elemento che ha contribuito alla fama di città a luci rosse.
[FABRIZIO PESANDO] Pompei presenta questo aspetto un po’ particolare, cioè di essere una città in cui l’esercizio della prostituzione all’interno di case, all’interno di spazi ricavati, anche all’esterno delle case medesime, attraverso l’utilizzazione di un edificio particolare come il lupanare, sembra risaltare moltissimo. Da qui una letteratura facile di Pompei città dell’amore, Pompei città dell’erotismo.
Questo è il professor Fabrizio Pesando, esperto di architettura privata antica, che avete già ascoltato nel secondo episodio. Il lupanare è l’odierno bordello ed è uno dei luoghi di Pompei che attraggono di più i visitatori: è sempre molto affollato. A suscitare questa curiosità morbosa è la presenza, sulle pareti del corridoio di disimpegno, di quadretti che ritraggono in modo esplicito le posizioni degli amplessi, una specie di menù delle prestazioni da richiedere. E poi le decine di graffiti (ne sono stati contati 144, compresi alcuni disegnini) incisi dai clienti per vantarsi delle proprie performance. Eppure, esaurita la coda per entrare, la durata media della visita è di meno di tre minuti. Del resto il lupanare si trova al pianterreno di una domus dove si consumavano rapidi incontri, giusto il tempo di togliersi qualche prurito.
[FABRIZIO PESANDO] È un edificio su due piani che si trova in una zona abbastanza centrale della città di Pompei, tra il foro e un grande edificio termale, che sono le Terme Stabiane, le terme più antiche della città più volte ristrutturate.
Non si tratta peraltro dell’unico luogo di piacere in città.
[FABRIZIO PESANDO] La vita erotica di Pompei è molto complessa, perché – a parte il lupanare, che appunto è costituito da queste stanzette molto anguste in cui c’erano dei banconi in muratura su cui si appoggiavano dei materassi e dei tessuti, e su cui si esercitava il lavoro della prostituta, che in latino si chiama “lupa”, per quello il lupanare ha questo nome – i ritrovamenti poi che sono stati fatti in città, i graffiti che ricordavano l’esercizio della prostituzione, una serie di ambienti spesso ricavati all’interno anche di case nobili – nella Casa dei Vettii, per esempio, c’era un ambiente utilizzato da una prostituta e proprio dalla Casa dei Vettii proviene un graffito in cui si ricordava che un amplesso con una prostituta costava pochi assi, come un boccale di vino, insomma, più o meno.
La storia del lupanare, peraltro, è piuttosto singolare, poiché è l’unico che l’antichità greca e romana ci abbia consegnato. Non ce n’è traccia nemmeno tra i resti di una città ben più grande come Ostia, un porto di mare dove ogni anno transitavano migliaia di marinai e commercianti. Che cos’aveva di diverso, Pompei?
[FABRIZIO PESANDO] Pompei è una città che nel 62 dopo Cristo viene colpito da un grandissimo e violentissimo terremoto. Al momento della sua distruzione, Pompei è ancora una città in ricostruzione. Per tutto questo lavoro di ricostruzione non bastava sicuramente la forza interna della città: dovevano venire maestranze da fuori. Tutto questo significava anche un pendolarismo o una residenza limitata nel tempo nella città del doppio degli abitanti della città. E tutti questi nuovi abitanti dovevano mangiare, dormire e, anche (diciamo) fornicare. Ecco perché probabilmente Pompei ha questa enorme concentrazione di questi servizi, come appunto anche i lupanari erano, che altre città antiche non hanno.
A Pompei, quindi, c’erano vari luoghi in cui consumare rapporti a pagamento, come diceva il professor Pesando, e a esercitare il mestiere non erano solo le schiave, ma anche donne libere. Si può dire che in città il sesso mercenario facesse parte del tessuto urbano. Le prostitute erano divise in categorie a seconda di dove lavorassero e di conseguenze, con tariffe diverse. Le Fornicatrici stazionavano sotto i ponti, le Bustuarie nei pressi dei cimiteri. Le Ambulatrici passeggiavano, le Tabernarie bazzicavano le taverne. E ancora, le Càstides esercitavano in casa, mentre le Nocti offrivano piacere nel buio della notte. Ce n’era per tutti i gusti e per tutti i ceti sociali, insomma, anche per quelli più elevati, che andavano alla ricerca di intrattenimenti più raffinati.
[RIA BERG] Sicuramente esistevano anche a Pompei, come a Roma, delle vere e proprie etère, cortigiane, donne magari anche colte, spesso di origini greche, a cui era anche difficile compiacere, con cui poi si facevano dei contratti di un anno o di due anni. Queste cortigiane, che non si chiamavano prostitute ma amiche o puellae, “ragazze” nelle nostre fonti letterali, a cui si offrivano dei regali, non pagamenti monetari.
Ria Berg insegna Archeologia classica all’università di Helsinki e dirige l’Institutum Romanum Finlandiae, che ha sede a Roma. È lei a raccontarci che le cortigiane pompeiane, un po’ come succede ai giorni nostri, fanno largo uso di trucchi, belletti e gioielli, per mettere in risalto il valore della loro mercanzia.
[RIA BERG] L’ideale femminile delle matrone sposate romane era abbastanza austero, quindi loro si potevano sbizzarrire con i capelli, con delle pettinature, però il trucco doveva rimanere molto sobrio. Infatti con queste creme di bellezza, l’effetto desiderato era quello della pelle bianca, lucida, chiara, nitida, senza macchi, piuttosto che usare dei fard colorati, degli ombretti o mascara. Molti trucchi e oggetti di toletta sono stati trovati a Pompei proprio nelle case, ospizi, nei ristoranti, tabernae, non nelle case di élite, non nelle domus grandi.
Creme, unguenti e profumi sono comunque molto diffusi tra le donne pompeiane. La sensualità vive di riti e mode spesso importate dalla capitale, dove a dettare le tendenze è l’imperatrice di turno.
[SPEAKER OVIDIO] Se il viso non ha il colorito roseo naturale, lo si rende roseo ad arte. Con arte rinforzate l’orlo rado delle sopracciglia e disegnate un piccolo neo sulle candide guance. E non è disdicevole marcare gli occhi con un sottile carboncino o con il croco.
Questi sono i consigli di Ovidio, poeta latino che nell’Ars Amandi ripercorre le fasi della toilette femminile, con frequenti incursioni anche nel mondo maschile, che certo non è esente da vanità. Una delle domus da cui emerge di più l’ideale pompeiano di bellezza femminile è la Casa della Venere in bikini, su Via dell’Abbondanza. Il nome deriva da una statuetta in marmo trovata nel cortile centrale che raffigura Venere nell’atto di slacciarsi sinuosamente il sandalo dal piede, aiutata da un amorino e da un priapo. La decorazione dorata le disegna addosso un reggiseno in pizzo e una parure di gioielli, con preziose catenelle incrociate sul ventre.
[RIA BERG] Oltre a queste statuette, c’erano molte pitture su questo tema della bellezza femminile. All’ingresso, la prima cosa che uno vedeva entrando nella casa erano dei medaglioni, questa sorta di ritratti, di due belle donne anonime. E poi, arrivati nella sala triclineare, quindi sala da banchetto, quello principale, della casa, sul fondo c’era un quadro che rappresentava il Giudizio di Paride – il giovane Paride che doveva fare questa ardua scelta: chi era la più bella tra le tre famose dee: Afrodite, Minerva e Giunone. E poi dà questa mela in segno di vittoria ad Afrodite. Quindi vediamo che in questa casa modelli della bellezza erano ben presenti, ma possiamo anche capire un pochettino come la donna, o le donne che ci abitavano cercavano di imitare questi modelli.
Nella domus sono stati ritrovati alcuni monili: due gemme-camei, due amuleti in pasta vitrea e una vistosa coppia di bracciali in oro, le cosiddette “armille”, che venivano portate anche come cavigliere. Gli armadi contenevano anche oggetti da toeletta: un piccolo contenitore in bronzo per cosmetici, una custodia per la pietra pomice, usata per lisciare la pelle, un attingitoio per le abluzioni, uno specchio e delle pinzette, sempre in bronzo. Alcuni di questi oggetti sono stati esposti in una mostra dal titolo Ventustas, insieme ad altri accessori unici dell’epoca: per esempio gli strìgili, che si usavano per portar via dal corpo il sudore o gli unguenti dopo il bagno.
[RIA BERG] C’era anche questa bottiglietta molto bella a forma di colomba. Era l’animale sacro a Venere. E poi quelli che forse per me sono gli oggetti più, in qualche modo, commoventi, che fanno capire la nostra vicinanza agli abitanti di duemila anni fa. Sono oggetti molto semplici: le spatolette in osso, coltellini, puntali in osso, che ancora portano i segni dell’uso. Quindi erano usati nel trucco, nello spalmare il trucco. E ancora si vedono questi segni di usura, i colori lasciati dai trucchi: tracce di blu e arancione.
Per l’uomo pompeiano il cruccio più grande, strano a dirsi, era la calvizie, che tentava di curare con lozioni improbabili. Plinio il Vecchio le descrive nella Naturalis Historia, a base di pepe ed escrementi di topo in una miscela di vino, o di radice di scolopendra, con grasso suino, ma di una scrofa che non abbia mai partorito. Più complicato di così… Per la donna, invece, il dilemma è il tipo di pettinatura da scegliere. A dare un’idea dell’entità del problema è ancora Ovidio.
[SPEAKER OVIDIO] Come non potresti enumerare le ghiande di una quercia né i lupi delle Alpi, così nessuno potrà mai contare le migliaia di acconciature esistenti. E ogni giorno ne nascono di nuove.
[RIA BERG] La donna sposata portava i capelli sempre legati in alto magari acconciati in modi molto elaborati. Però era importante che erano legati, perché era un simbolo anche che significava che la donna si controllava, i capelli simboleggiano tutto il corpo. Gli impulsi anche, come sappiamo di Sansone, la forza risiedeva nella concezione antica in qualche modo nei capelli. Quindi le donne li legavano e così simboleggiano il loro status mareale. E gli oggetti con cui veniva fatto questo, i pettini erano uguali ai nostri. Ma poi c’era quest’altro oggetto, ago crinale, che noi non abbiamo più: era un puntale con cui si dividevano le ciocche dei capelli per poi formare queste acconciature elaborate
C’è un luogo particolarmente carico di sensualità, dove si può ammirare il ritratto di una futura sposa intenta ad acconciarsi. È la Villa dei Misteri, una dimora suburbana di proprietà di qualche ricco patrizio con una vista mozzafiato sul golfo. Nell’immagine della toeletta, la sposa è insieme alla ornatrix, una schiava esperta in pettinature, mentre un amorino sorregge lo specchio, all’interno del quale, in piccolo, è dipinta la stessa figura della ragazza, riflessa.
[VALERIA PARRELLA] Una cosa che ho sempre sofferto io, per le donne che ci hanno precedute, ed è una cosa che ritrovavo anche in Marguerite Yourcenar, nelle Memorie di Adriano, ci ho ripensato mille volte rileggendola, al fatto che non avessero specchi così come lo intendiamo noi. Certo, avevano superfici riflettenti, avevano capito che il metallo ben lucidato – l’argento, in particolare, che poi è stata la base di tantissimi specchi – poteva riflettere. Però non avevano capito che bisognava attaccarci un pezzo di vetro sopra, e quindi loro in realtà si specchiavano malissimo.
Lei è Valeria Parrella, scrittrice napoletana che con Pompei ha un legame particolare, come sapete dai precedenti episodi. Lo specchio, però, a quei tempi non era solo un accessorio di uso comune: veniva anche associato a Venere, quindi all’idea assoluta di divinità e di bellezza.
[DANDA SANTINI] Il desiderio delle donne di piacere è un tema controverso e dibattuto in epoca di #MeToo e durante la quarta ondata del femminismo. Per tanto tempo, più che un desiderio, per le donne è stata un’esigenza, perché le donne erano assolutamente indifese di fronte al mondo, dal momento che non avevano autonomia, non avevano indipendenza non potevano fare pressoché nulla e passavano dalla tutela del padre alla tutela di un marito.
Lei è Danda Santini, giornalista e direttrice di Io Donna e Amica, che ci ricorda come, da sempre, nell’intreccio che lega la bellezza alla vita quotidiana delle donne, non tutti i fili siano luminosi. È così oggi ed era così anche per le pompeiane.
[DANDA SANTINI] Le donne hanno un corpo che è oggetto del desiderio, è un corpo che è guardato che è ammirato. È così oggetto di seduzione di per sé, senza che facciano niente, che in alcune religioni sentono il bisogno di coprirlo perché lo trovano destabilizzante. Però è bello sapere che oggi si può scegliere come usare il proprio corpo e assumersene la responsabilità in prima persona: questo non è stato possibile per almeno tremila anni della nostra storia.
Le donne raffigurate nelle pitture e nelle sculture di Pompei antica sono innanzitutto belle, giovani, dalle forme perfette, almeno secondo i canoni dell’epoca. Era questo il requisito per essere protagoniste, e così è oggi: una bellezza stereotipata, che corrisponde a un ideale di perfezione per lo più inesistente. E non è nemmeno l’unico aspetto a essere rimasto immutato nel tempo.
[DANDA SANTINI] Il trucco sostanzialmente, dagli egiziani ai romani, al Settecento e a oggi, racconta un po’ sempre lo stesso ideale di bellezza: c’è una base che deve essere bianca il più possibile, per restituire il volto luminoso, quindi che riflette meglio la luce; si cerca di valorizzare gli occhi, rendendoli più scuri col kajal, con le linee, come facevano gli Egizi e come poi si è continuato a fare; si cerca di dare risalto alla bocca, che deve essere il più possibile rossa. E poi ci si adorna con tutti i gioielli che tintinnano, si muovono, sono bagliori di luce.
I trattamenti estetici e curativi, soprattutto per il viso, erano a base dei componenti più svariati e anche più repellenti, come se la bellezza dovesse derivare da ciò che era orripilante. In questo, almeno, il passare dei millenni ha portato qualche miglioramento.
L’ingrediente forse più normale è il famoso latte d’asina nel quale Poppea, moglie di Nerone, si immergeva per rendere la pelle morbida e candida. Per Ovidio, in ogni caso, farsi belle è un’arte che va tenuta segreta.
[SPEAKER OVIDIO] Che il vostro amante, tuttavia, non vi sorprenda con i vasetti delle creme in mostra sul tavolo: un’arte dissimulata giova ancora più alla bellezza. Chi non proverebbe fastidio per un volto tutto cosparso di feccia, mentre il peso gocciola e scorre tra i tiepidi seni? Né approverei che vi applicaste in pubblico misture di midollo di cerva e che davanti a tutti vi sfregaste i denti. Queste cose procurano bellezza, ma sono brutte a vedersi.
Altro elemento fondamentale nel gioco della seduzione è il profumo. A Pompei c’era persino un corporazione dei profumieri, con sede non lontano dal Foro. La raffinatezza dei loro unguenti era così ricercata che a volte se ne faceva un uso eccessivo. Ecco allora che interveniva il poeta, con la sua lingua tagliente.
[SPEAKER MARZIALE] Quando passi sembra che traslochi il profumiere Cosmo e che il cinnamo esca da un flacone rovesciato. Non voglio, Gellia, che ti piacciano queste futilità. Sai, credo che anche il mio cane potrebbe profumare così.
Questa volta è Marziale, che in un epigramma mette in luce la futilità degli eccessi, ma anche, come scrive lui stesso, che: Non bene olet qui bene semper olet. E cioè, in parole povere: troppo profumo nasconde una puzza. Del resto, l’igiene personale non era agevole in case in cui ci si lavava prendendo l’acqua dalle fontane agli angoli delle strade, i denti venivano puliti con soda e bicarbonato, e i residui di cibo tolti con bastoncini di legno appuntito oppure con penne. In caso di alitosi si poteva ricorrere a delle pasticche, anche se, sempre a detta di Marziale, non sempre erano efficaci.
[SPEAKER MARZIALE] Per non puzzare troppo del vino che hai bevuto ieri, Fescennia, divori pasticche del profumiere Cosmo. Questi preparati impiastricciano i denti, ma niente possono quando ti sale un rutto dal profondo.
Come avrete compreso, il rapporto degli antichi pompeiani con la cura del corpo, la vanità e la seduzione è molto simile a quello che affrontiamo oggi. Ci si depila, ci si deodora; si tingono o si arricciano i capelli; si seguono i trend della moda – all’epoca era quella imperiale –; si amano lusso e gioielli. E soprattutto si cercano rimedi per nascondere i propri difetti, per piacere a se stessi e agli altri, anche se allora non era così facile come adesso. Solo le case più ricche, infatti, avevano locali da bagno. E quindi, per una pulizia completa, la maggior parte dei pompeiani doveva andare alle terme pubbliche. Se ne contano almeno cinque in città, e ci si recava anche per divertirsi, ritemprarsi, incontrare gli amici o fare affari, e naturalmente corteggiare ed essere corteggiati. Questo è di nuovo Fabrizio Pesando.
[FABRIZIO PESANDO] La maggior parte degli impianti che ancora noi adesso godiamo nelle spa, che poi è “salus per aquam”, che è un termine latino naturalmente, provengono in realtà da quelle esperienze che i romani hanno elaborato. Erano molto igieniche, anzi tutto un filone di letteratura medica antica ne raccomandava l’utilizzazione, sia nei bagni freddi che nei bagni caldi, ed era però anche un mondo che serviva sostanzialmente anche per la formazione atletica delle persone che la frequentavano, perché quasi sempre le terme romane in assoluto (e poi abbiamo gli esempi pompeiani) erano costituiti sia dalle stanze in cui si prendevano i bagni di calore o i bagni freddi, o i bagni di vapore, ma anche da giganteschi portici in cui ci si allenava, si faceva l’allenamento della palestra. Ogni terma aveva al suo interno una palestra.
Le terme aprivano di pomeriggio, ed erano quindi esposte a Ovest, in modo da prendere più luce possibile. Gli orari erano regolamentati, e a fine giornata anche gli schiavi potevano entrare per le abluzioni. Erano divise per sessi, e dove non era possibile avere settori separati si differenziavano gli orari per evitare promiscuità.
[FABRIZIO PESANDO] Viceversa c’era molta più libertà negli edifici termali privati, per esempio le terme suburbane di Pompei funzionavano in parte anche come lupanare di lusso: la zona superiore, quella che non è visitabile, è poco conservata, probabilmente ospitava una serie di appartamenti in cui si poteva accedere per fare banchetti, e quindi anche altre attività che erano collegate anche al momento opposto e conviviale.
Le Terme suburbane hanno un’ulteriore particolarità: i muri del vestibolo all’ingresso dei bagni offrono un altro bell’esempio di arte erotica pompeiana. Una serie di amplessi numerati è raffigurata in alto sulla parete, dove venivano collocate le capsae, cioè le scatole in cui riporre gli abiti. È un crescendo di posizioni sempre più complesse e trasgressive che, in realtà, più che suscitare libidine, aveva un intento ludico e umoristico. Ed era anche un sistema ingegnoso, insieme alla numerazione, per far memorizzare meglio ai clienti la posizione della propria capsa.
[FABRIZIO PESANDO] Anche questi che sono linguaggi dell’erotismo chiaramente danno anche l’idea di una necessità di lasciarsi dietro i momenti più difficili affrontati dalla città anche con un po’ di leggiadria. E parlando anche di messaggi che fossero facilmente comprensibili, che parlassero anche di questo rinnovamento fatto attraverso gli esempi mitologici dei rapporti sentimentali o anche sessuali. Nello spirito anche del tempo, siamo tra le età di Nerone e degli imperatori Flavi, che sono un pochino più bacchettoni ma che tutto sommato lasciavano abbastanza correre.
Dunque, in un certo senso, è vero: Pompei era la città dell’amore. Se ne faceva e se ne parlava quasi in ogni angolo. Anzi, se ne scriveva. Grete Stefani, che avete già ascoltato nelle puntate precedenti,funzionario archeologo e curatrice insieme a Massimo Osanna della mostra Venustas, cita, per esempio, questa iscrizione da cui è rimasta molto colpita:
[GRETE STEFANI] “Salute a te, Primigenia Nocerina. Non più di un’ora vorrei essere la gemma dell’anello che ti regalo, per dare a te che la inumidisci con le labbra quando apponi il sigillo, i baci che vi ho impressi”. Quindi questo giovane che amava questa Primigenia Nocerina le ha regalato un anello; prima di regalarglielo ha baciato l’anello e vorrebbe essere la gemma di questo anello per darle di nuovo tutti questi baci che ha dato all’anello. È una cosa molto particolare.
Questo è solo uno dei tanti graffiti che sui muri della città celebrano, o denigrano ferocemente, l’amore, questo sentimento così potente, fonte delle più grandi gioie e dei più grandi dolori. E non erano solo i maschi ad affidare ai muri pensieri e sentimenti al riguardo. Ascoltate:
[SPEAKER GRAFFITO] Oh, se potessi tenerti stretto con le braccia al collo, e coprire di baci le tue tenere labbra! Per ora va’, o fanciulla, e affida le tue gioie ai venti. Credimi, la natura degli uomini è mutevole. Spesso io nel mezzo della notte vegliavo, meditando tra me e me questa cosa. Molti di quelli che prima aveva innalzato li ha fatti precipitare, la Sorte, e li ha tenuti schiacciati. Allo stesso modo Venere, come d’improvviso unisce gli amanti, così d’improvviso li divide.
In generale, nel mondo romano le donne avevano una libertà maggiore rispetto a quanto avveniva, per esempio, nella Grecia classica. Non potevano votare, ma prendevano parte attiva alla vita sociale e politica, talvolta in modo molto incisivo. Questa è di nuovo la professoressa Catharine Edwards.
[CATHARINE EDWARDS] Ci sono esempi di donne sacerdotesse, dedite al rito di Venere, che era la divinità protettrice di Pompei. Una di queste si chiamava Eumàchia, ed era davvero una donna straordinaria. Aveva costruito un edificio sul lato Est del Foro di Pompei, il più grande in quell’area, dove si svolgeva il mercato della lana, e lo aveva consacrato alla Concordia Augusta, in nome suo e del figlio, che era stato duòviro nel 2-3 dopo Cristo. Quell’edificio mostra chiare tracce del rapporto tra la famiglia di Eumàchia e quella imperiale di Roma, con elementi architettonici copiati dal Portico di Livia. Lei stessa è stata immortalata in una statua, in una posa simile a quella della moglie di Augusto, con una dedica dei lavandai della città. Era così ricca che il suo nome è associato anche alla tomba più grande tra quelle ritrovate nei dintorni di Pompei: Eumàchia la fece costruire per I membri della sua famiglia nella necropoli nei pressi di Porta Nocera, a conferma del suo ruolo sociale.
Un’altra figura femminile di spicco è quella di Julia Felix, Giulia Felice, proprietaria di una grande villa nei pressi dell’anfiteatro, una specie di centro benessere, dove si poteva usufruire di una spa, pranzare, sostare nei giardini e rilassarsi. Il desiderio di benessere si respirava non solo nelle grandi ville urbane, ma anche in quelle lungo la costa, che appartenevano spesso a facoltosi romani attratti dall’amenità del paesaggio. Sono i luoghi per eccellenza dedicati all’otium.
[FABRIZIO PESANDO] Le Ville d’ozio, cosiddette, cioè le ville dedicate al trascorrere del tempo, in quel periodo in cui non si era impegnati nei lavori pubblici nelle attività di carattere politico amministrativo a Roma, erano dei luoghi in cui il proprietario concentrava tutto quello di bello che poteva fare in questo periodo. Oltre che essere arredate in maniera sontuosa, spesso accoglievano delle biblioteche, dove dunque il proprietario poteva studiare e leggere con tranquillità, scrivere le cose che voleva, ma anche organizzare effettivamente fastosi e lussuosissimi banchetti dove poter quasi vivere come viveva l’imperatore.
Un’altra di queste sfarzose dimore d’ozio è Villa Arianna, a Stabia, che non finisce di stupire con i suoi eccezionali ritrovamenti. Come per la domus di Leda e il cigno, con la quale abbiamo iniziato questo episodio, anche qui a dare il nome al luogo è un mito amoroso: i raffinati affreschi di questa abitazione descrivono, infatti, le vicende di Arianna, abbandonata da Teseo e poi sposa di Dioniso. Molte pitture e molti reperti emersi nel territorio stabiano fanno parte ora di un nuovo museo archeologico inaugurato nel settembre del 2020 nella Reggia di Quisisana, a Castellammare.
[RIA BERG] Penso al medaglione molto bello: un ritratto doppio, una donna e un uomo di cui la donna con uno sguardo molto intenso vede lo spettatore dell’immagine e un giovanotto alle sue spalle invece fissa lei con uno sguardo ugualmente intenso. Ci rimane enigmatica, per questo è una bella immagine.
Questa è di nuovo Ria Berg.
[RIA BERG] Poi citerei un oggetto molto divertente in vetrina: una lucerna semplice, a forma di due piedi che indossano sandali femminili, quindi è un oggetto che un pochettino scherza su questo concetto della femminilità. Infatti esistevano questi sandaletti come in questa lucerna, decorati con magari con delle perle, di cui ci raccontano pure gli scrittori. E questo oggetto in modo scherzoso allude a questo vizio femminile delle scarpe sempre eleganti,sempre alla moda.
Il fascino inesauribile di Pompei e la possibilità di accedere a un mondo sensuale e passionale, dove la nudità e il sesso erano vissuti senza remore, hanno sempre attratto i visitatori. Anche, e soprattutto, quelli di epoche passate con una morale molto più rigida della nostra: sono i viaggiatori del Grand Tour, e proprio di loro parleremo nel prossimo episodio.
[FINE]